domingo, septiembre 25, 2016


Mendoza, città giardino tra il deserto e le Ande
di Grazia Fresu

  Da quasi dieci anni vivo e lavoro a Mendoza, dopo un lungo periodo trascorso a Buenos Aires, città il cui fascino indiscutibile mi ha stregata e di cui ho ancora nostalgia. Non sapevo quasi niente di questa città prima di arrivare, se non che sorgeva a ridosso delle Ande e in pieno deserto, che era zona sismica e che vi si trovava l’università in cui sarei andata a insegnare, quell’Università Nazionale di Cuyo che aveva avuto tra altri il prestigio di un docente di letteratura come Julio Cortazar. Arrivai in piena estate, con una temperatura che da noi avrebbe fatto squagliare l’asfalto e invece, accompagnata da colleghi, mi ritrovai già nei primi giorni a passeggiare per un centro dove non stavi mai esposto al sole cocente, le strade erano tutte alberate, scoprii poi che lo erano anche nelle più remote periferie, alberi ovunque e piazze come giardini, spazi ampi e ombrosi nei quali rifugiarsi con sicurezza quando la terra trema, spazi per passeggiare, per riposare, per ammirare. Un’elegante pedonale collega la via principale, la San Martín, strada di negozi e locali sempre animata, con la Piazza principale “Plaza Independencia”, cuore nevralgico della città, su cui si affacciano il teatro più importante della città e molti hotel di ottimo livello, tra cui l’Hayatt prestigioso e elegante che offre sulla sua terrazza oltre che un cibo raffinato anche buona musica. Questa grande piazza si trova al centro di un quadrilatero dove sorgono altre quattro piazze, più piccole ma ugualmente belle, ognuna con una sua specifica personalità sia nell’impianto urbanistico che nell’architettura e nell’estetica della decorazione: Piazza Italia, dove ogni anno si celebra la festa di tutte le associazioni regionali Italiane con offerta di cibi tipici e spettacolo, Piazza Cile dove si trova il Consolato Italiano, punto di riferimento per tutta la zona di Cuyo, Piazza España con bellissimo pavimento e decorazioni in porcellana donate dalla Spagna che raccontano in un grande murale l’incontro tra gli indigeni e gli Spagnoli, Piazza san Martín al cui centro troneggia il monumento di San Martín  a cavallo, l’eroe fondatore della patria che compì l’impresa dell’attraversamento delle Ande per andare a liberare con Simon Bolivar le province di Cile Argentina etc, con l’ideale di fondare gli Stati uniti del Sud America. Questo centro nevralgico, pulsante, animato per tutta la settimana, la  domenica si svuota quando i mendosini si trasferiscono in massa al parco San Martín, ettari di boschi e  prati con luoghi di ritrovo, un grande lago dove si pratica il canotaggio e su cui si affaccia il celebre Club Regata che offre attività sportive di vario tipo, una grande piscina e una stupenda terrazza sul lago da cui può vedersi anche il giardino delle rose, un luogo di colori e magici profumi che in primavera esplode in tutta la sua bellezza con centinaia di varietà di rose. Sembra impossibile che questa città, che a vederla dall’alto si mostra come un enorme giardino, sorga in pieno deserto, basta uscire dal suo conurbano (il centro, ossia l’area della prima antica fondazione, ha solo 112.000 abitanti ma nel suo conurbano ve ne vivono altri 800.000) infatti per trovare un suggestivo arido paesaggio di dune. Perché questa città è un miracolo dell’ingegno e della determinazione degli uomini che vollero costruirla in questa conca in apparenza inospitale, ma che  era il luogo giusto come base per attraversare le Ande. In questa zona abitavano gli indigeni Huarpes che coltivavano la terra attraverso un sistema di canali, portando l’acqua dalle montagne innevate che in primavera sciogliendo i loro ghiacci alimentavano la vallata. Gli Spagnoli presero da loro il sistema di irrigazione, lo perfezionarono, lo ampliarono trasformando una terra inospitale in un giardino. A loro si aggiunsero gli emigranti, specie italiani, che nei secoli successivi, a ondate invasero questo paese, portarono qui le prime viti, la loro arte di produrre vino e trasformarono la zona nel cuore della produzione vinicola del paese, con vini prestigiosi, come il Malbec e il Sirac, ormai esportati con successo in tutto il mondo. Venire a Mendoza e non visitare le sue famose “bodegas” (cantine vinicole con impianti di ultima generazione) sarebbe come andare a Venezia e non salire su una gondola. La produzione di vino giustifica i tanti alberghi della città che per tutto l’anno ospitano oltre che turisti, impresari vinicoli da tutto il mondo. La vendemmia è il momento più importante per la popolazione che la festeggia con un evento che viene venduto ai canali televisivi di molti paesi. Nell’ Anfiteatro greco, costruito nella cavea naturale del Cerro, alta collina immersa nel Parco, ogni anno uno spettacolo imponente con centinaia di cantanti, ballerini, attori celebra il rito della vendemmia ripercorrendone storia e tradizioni, in un trionfo di luci, musica e suggestioni che conquista gli spettatori. Nell’ambito della festa viene eletta, tra le rappresentanti dei vari dipartamenti della zona di Cuyo, la Regina della Vendemmia, il cui compito durante l’anno non si limita, come per le nostre Miss, a mettere in risalto la loro bellezza con pubblicità e sfilate di moda, ma ha un compito sociale di aiuto e sostegno, dentro programmi specifici e finanziati dalla provincia, nei confronti dei più necessitati. Ma Mendoza non è solo vino, hotel, piazze, giardini e feste. Mendoza è anche cultura: teatri, musei, biblioteche; la animano pittori, artisti plastici, musicisti, scrittori, poeti di grande talento che si trovano a lottare spesso contro il potere accentratore della capitale del paese, ma ugualmente continuano a proporci la speciale bellezza che nasce e si alimenta in queste contrade. Non sono figli della pampa ma di questa terra che tra vento “zonda” (il terribile vento che scende dalle Ande e può scardinare anche gli alberi e, quando giunge a valle e il deserto lo riscalda, ti costringe a chiudere scuole e uffici pubblici per arginare i suoi devastanti effetti) e “coplas” (strofe, canzoni, versi della tradizione popolare il cui ritmo serpeggia nelle vene di ogni artista mendosino), racconta storie altre dal resto del paese. Queste storie la città le ha tessute dalla sua lontana fondazione, le ha sofferte nel terremoto che il 20 marzo del 1861 quasi la distrusse ma senza  cancellarne l’identità, le ha fatte rifiorire nella bellezza e pulizia delle sue strade e piazze, nell’ombra dei suoi grandi alberi, nei giganteschi portoni di ferro battuto e ottone che introducono al Parco San Martín disegnato dal più grande architetto di giardini che abbia lavorato in America Latina, il francese Charle Tays.
Mendoza è anche i suoi suggestivi dintorni, paesaggi svariati: la Montagna più alta delle Ande, l’Aconcagua, è una delle mete preferite sia d’inverno per gli sport invernali e le audaci scalate che d’estate per escursioni a contatto con una natura intatta; la Sierra della Quijada non ha niente da invidiare al Gran Cañon del Colorado, un parco di pietra di singolare bellezza; il Cañon del Atuel e il suo fiume che si insinua tra le rocce con squarci suggestivi; il fiume Mendoza sul quale è possibile fare turismo-avventura navigandone le turbolente acque, luoghi che cambiano l’emozione e lo sguardo.
Anche in questa città come a Buenos Aires ho trovato un mio luogo nel mondo, fatto di visioni, di gesti, di incontri, i miei colleghi, i miei studenti all’Università con cui consumo la mia passione per la letteratura, gli amici speciali con cui condivido confidenze, serate passate a mangiare, parlare, sentire musica e quelli con cui ho fatto teatro al Plaza di Godoy Cruz o al Quintanilla di Plaza Indipendencia, piccolo gioiello municipale che mi ha aperto le porte e accolto sempre con disponibilità e successo. A Mendoza sta la mia casa ora, con il giardino nel fondo, l’alloro, il limonero, la bouganville che accende di viola il patio, i miei tanti libri, le pareti color pesca che danno allegria, i miei oggetti amati, non so se sosta definitiva o solo tappa di un viaggio che ancora può sorprendermi.
Pubblicato sulla rivista “L’Ideale” (www.lideale.info)

il 24/05/2016 nella sezione “Cultura” alla rubrica “Sguardi d’altrove”


Buenos Aires, Museo del Libro y de la Lengua
“Buenos Aires recuerda a Giorgio Bassani”
12 de septiembre del 2016



Es un privilegio poder presentar esta Jornada de estudios ante la presencia de Paola Bassani Pacht, en este prestigioso espacio del Museo del Libro y de la Lengua de Buenos Aires, y dar comienzo a las actividades en ocasión del centenario del nacimiento de Giorgio Bassani.

“Buenos Aires recuerda a Giorgio Bassani” es nuestra propuesta, lanzada por algunos miembros de la Asociación de docentes e investigadores de lengua y literatura italianas ADILLI junto al Instituto Italiano de Cultura de Buenos Aires. Encontramos en las autoridades de la Biblioteca Nacional de Buenos Aires una fraternal disponibilidad y agradezco en calidad de una de las organizadoras de este homenaje por el espacio que nos brinda. Nos acompañan además la Fundación Victoria Ocampo, dirigida por María Esther Vázquez, el Centro de Estudios de Narratologia, el Centro de literatura comparada “Maria Teresa Majorana” de la Universidad Católica Argentina, la Universidad del Salvador. Los organizadores de este evento han querido proponer un momento distinto de los habituales porque el enfoque académico se suma a la perspectiva divulgativa.

Queremos rendir nuestro homenaje a una personalidad de la cultura italiana que aun hoy sigue conquistando el aprecio de nuevos lectores. Los intereses y las actividades de Giorgio Bassani fueron varios y enriquecedores. Profesor, poeta, narrador, crítico literario y guionista, para Giorgio Bassani el ámbito de la escritura era un terreno de continua exploración sobre el que avanzaba con su sensibilidad alimentada en los estudios de literatura e historia del arte. Excelente deportista, destacado jugador de tenis, fue también un apasionado de cine, arte y teatro. En sus largos años de actividad literaria, entró en contacto con diversas personalidades. Mientras seguía los cursos universitarios en Bologna, conoció Roberto Longhi, Leo Longanesi, Riccardo Bacchelli, Giuseppe Raimondi e Giorgio Morandi.  Bassani transcurrió algunos meses en Nápoles y luego se instala definitivamente en Roma donde encuentra las hijas del filosofo Benedetto Croce (Elena y Ada), Mario Soldati, Natalia Ginzburg, Elsa Morante, se desempeña como secretario de redacción de la revista “Botteghe oscure” y más tarde estuvo entre los redactores de la revista literaria “Paragone” Amplía pues el círculo de sus contactos: Marguerite Caetani, Pier Paolo Pasolini, Maria Bellonci, Vasco Pratolini. En una ocasión declaró “Me siento muy unido a la llamada generación del mezzo,... pues han partido de posiciones de tipo novecentesco, han nacido entre las dos guerras y han descubierto de algún modo a Italia, la han puesto en pie con una literatura realista que no se practicaba desde hace mucho tiempo”. [1]


La narrativa de Giorgio Bassani se difunde desde temprano en Argentina. La prima traducción al castellano es obra de Roberto Bixio, quien entrega su versión de Los Anteojos de oro a la Editorial Sur, en 1960. En lo sucesivo, sus novelas llevarán el sello de Seix Barral y llegarán a la Argentina desde España. Poco después, a inicio de los años setenta, Vittorio de Sica consigue el Oscar y el Oso de Oro en Berlín como mejor película extranjera con El Jardín de los Finzi-Contini y renovó el interés por la obra del escritor también en Argentina. Horacio Armani, durante su permanencia en Roma en 1971, lo entrevista para el diario “La Nación”. Es un diálogo entre dos personalidades de la cultura, dos escritores. Ente los tantos temas abordados, algunos toman en cuenta la relación del escritor con la tradición literaria y con el lector. Bassani afirma que “no podría escribir si en mi poética no estuviese implícita una relación de tipo religioso con cierto público. Mi literatura es fundamentalmente religiosa en este sentido, en esta búsqueda de relación con los otros y por esto no puede ser experimental”. [2]

Quisiera en este momento destacar dos aspectos, entre los tantos que sus páginas nos han legado. Por un lado, la certeza que Bassani tuvo en el valor de la memoria y en segundo lugar su compromiso con la verdad. Son dos aspectos estrechamente relacionados entre si, pues el primero alude al segundo y entre ellos se potencian.

Dice Micol Finzi-Contini en un momento de la novela “Io e te non siamo della gente normale, tra noi due più che il possesso delle cose, quello che conta è, come dire, il ricordarsi delle cose, la memoria delle cose. Non è così?”  Todas las obras narrativas de Bassani nacen de la necesidad de relatar el clima de una época, retomando casi obsesivamente un momento trágico de la historia italiana. La voluntad de conservar la memoria explica además su compromiso con “Italia Nostra”, la asociación nacida en 1955 para la salvaguardia del patrimonio artístico y natural italiano. Bassani se encuentra entre los socios fundadores. Declaró en una oportunidad “El mérito fundamental de Italia Nostra, su originalidad absoluta se encuentra, a mi parecer, justamente en la persuasión que tuvimos desde el inicio del calidad excepcional de los valores que nos proponíamos preservar. Estábamos convencidos, pues, y lo estamos mas todavía, que el patrimonio artístico y natural italiano pertenezca a todo el mundo”[3]. Esta constante atención hacia la posibilidad de preservar el recuerdo no lo abandonaba nunca y también se manifestó en ocasión de su visita a la Argentina. Maria Esther Vázquez lo entrevistó para el diario “La Nación”,[4] cuando Giorgio Bassani llegó a Buenos Aires para la Feria del Libro en 1983. En su reportaje, es posible encontrar las impresiones de Bassani luego de su visita a Rosario, a la que había concurrido con el propósito de admirar el patrimonio arquitectónico. Declaró en aquel momento “Este país posee importantísimos testimonios de la época liberty. Lo que resta de ese pasado en Rosario está en grave peligro. Se necesitaría que cualquier asociación, similar a Italia Nostra, se ocupase seriamente del problema.” En estos recientes años su augurio se ha vuelto una realidad, aun con mermas en los tesoros para salvaguardar.

A la consideración que le merece la memoria se asocia el compromiso con la verdad. Un artículo firmado por Bassani en 1957 “Lo scrittore e i mezzi di diffusione” contiene algunas interesantes observaciones. “Sebbene io creda molto fermamente al destino di intima solitudine dello scrittore, altrettanto fermamente credo alla necessità di un rapporto con la società nel seno della quale egli vive” afirma Bassani. Eran los tiempos en que se debatía sobre la influencia de las masas y la relación entre el individuo y la sociedad. Bassani aconsejaba “mantenere intatta la fede nella propria vocazione”, sin sucumbir frente a los gustos y las presiones del público, como arma para evitar las insidias de los nuevos canales de difusión masivos. Estos mismos conceptos fueron después retomados por Pier Paolo Pasolini cuando escribió el prefacio a La novela de Ferrara, publicada en 1974. Pasolini lo conoció a fines de los años cuarenta y recordando las polémicas desatadas en los años sesenta que pusieron en tela de juicio el estilo narrativo bassaniano notaba el efecto positivo que involuntariamente esas críticas habían producido en el mismo Bassani. Pasolini afirmó que el escritor ferrarés  “ha resistido gracias a la confianza en si mismo” cuando se percata que su misma obra es  “un bien valioso que debe ser conservado y completado.”

También Renata Donghi Halperin subraya el compromiso hacia la verdad en las obras de Bassani. Investigadora y crítica literaria especializada en cultura italiana, Renata Donghi lo presentó a los lectores argentinos en 1963 desde las páginas del diario porteño “La Prensa”. Concluía su reseña sobre Cinco historias ferraresas  planteando una disyuntiva “ Libros, los de Bassani, tan amargos que no se sabe si han sido escritos para contar lo que de tremendo aconteció en esos año bochornosos o para enjuiciar toda una sociedad”. La pregunta invita los lectores de Bassani a plantearse el dilema y tratar de darle respuesta.

En la tarde de hoy podremos ahondar varios aspectos de Giorgio Bassani, sus poesías y sus narraciones, también mediante la proyección de algunas escenas de Los anteojos de oro. Podremos además escuchar la voz misma de Giorgio Bassani, gracias al documental del 1979 que se presenta por primera vez al público argentino. 

Jorge Aulicino, periodista, poeta y traductor, nos presentará su versión de algunas poesías de Bassani, agregando algunos datos interesantes sobre las circunstancias que le permitieron entrar en contacto con la obra poética bassaniana. En 1971 Bassani afirmó, en la entrevista ya mencionada que le hiciera Horacio Armani, “Soy un poeta lírico, he nacido como poeta lírico y no hubiera podido escribir mis novelas si no hubiera escrito poesía” añade después “La prosa ha sido para mi una especie de necesidad de abrir mi poesía a la realidad”.

Maria Esther Vázquez nos permitirá descubrir momentos de la relación entre el escritor ferrarés y el ambiente literario argentino, ya en los años setenta, cuando ella y su marido Horacio Armani se encontraban en Roma. 

Con un enfoque más académico, Daniel Capano nos guiará en el recorrido a través de las principales obras narrativas, ofreciéndonos su clave de interpretación.

Alberto Daneri nos ilustrará su punto de vista sobre la presencia de los hechos históricos en las novelas.

Guillermo Piro nos brindará su lectura de algunas paginas narrativas del cuento Lida Mantovani, perteneciente a Cinco Historias Ferraresas y Néstor Tirri ilustrará aspectos ligados a la película realizadas sobre la novela Gli Occhiali d'oro.

Todas estas contribuciones nos permitirán apreciar mejor el documental y la conversación de Paola Bassani con Hugo Beccacece, a la que el publico está invitado a participar con inquietudes y observaciones.

Renata Adriana Bruschi



[1]    Giorgio Bassani: creación y polémica, Reportaje de Horacio Armani, La nación 11 de abril de 1971.
[2]    Giorgio Bassani: creación y polémica, Reportaje de Horacio Armani, “La Nación” 11 de abril de 1971.
[3]    La citación fue tomada de G. Bassani, Italia da salvare, Torino Einaudi 2005, pag 91, y fue traducida para esta comunicación.
[4]    “La Nación”, 3 de julio del 1983.